C'è una musica dentro di me

Letture di brani scelti dall'epistolario di Vincent Van Gogh 

Improvvisazioni musicali a cura del Conservatorio di Frosinone

 

 

 

“C’è una musica dentro di me”

 

 “Finalmente il cielo stellato dipinto la sera sotto un lume a gas. Il cielo è azzurro verde, l’acqua è blu reale, la terra color mauve, la città è blu e viola, la lampada a gas è gialla e i riflessi sono di un oro rosso e arrivano fino al bronzo verde…Quando sento un bisogno terribile di – la chiamerò con il suo nome- religione, allora vado fuori di notte a dipingere le stelle e sogno sempre un quadro come quello con un gruppo di figure degli amici vivi….Ecco vorrei poter arrivare a quella sicurezza che rende felici, lieti e vivi in ogni occasione.”

 

Aveva provato a fare il mercante d’arte come lo zio Vincent del quale portava il nome; aveva poi tentato di fare l’istitutore presso un pastore protestante , sulle orme  del padre; infine aveva imboccato la strada della presenza tra i miserabili in qualità di evangelizzatore, di missionario, ma anche questo si era rivelato un vicolo cieco. A ventisette anni non aveva ancora trovato la propria strada e continuava a vagare senza meta. Gli davano dell’inetto, del fannullone, ma c’è “fannullone e fannullone….”. Ma una cosa era certa: Vincent non intendeva rassegnarsi ad una esistenza piatta.

Viveva nell’attesa che questa tensione febbrile, questo fuoco che aveva dentro, esplodesse e forgiasse una vita degna di questo nome.

Provvidenzialmente c’era almeno una persona con cui poteva comunicare in modo vero: il fratello Theo. Erano questi i punti fermi della vita di Vincent.

La mostra e questa serata vogliono essere occasione per l’incontro con la vibrante umanità di Vincent van Gogh, ovvero col suo essere, che si manifesta attraverso il talento pittorico, ma anche attraverso la straordinaria bellezza e verità che il suo epistolario sa comunicare.

Van Gogh va di moda: alto è il rischio di lasciarsene titillare epidermicamente. Ma se con lui si va fino in fondo, se  ci si lascia graffiare dalla sua grafia artistica, se ci si lascia contagiare dal suo virus dell’assoluto, dalla sua febbre di  vita, dalla sua sete di verità totale, insomma se si incontra il suo cuore, se ne esce più forti e capaci di resistere al deserto di vacuità che avanza, e pronti a valorizzare i germogli  di bene che pullulano attorno a noi oggi come attorno a lui, allora.

Con i colori Van Gogh ha cantato un esultante inno di lode e bellezza del reale, dell’uomo vero  che si riconosce tutto mendicante l’aiuto fraterno, proteso verso l’infinito, anche dentro  l’umiliazione per la riconosciuta precarietà della propri salute mentale.

Egli scrisse  un giorno al fratello Theo:

Quello che uno ha dentro traspare anche al di fuori. Uno ha un grande fuoco nel cuore e nessuno viene mai a scaldarcisi vicino, e i passanti non vedono che un poco di fumo in cima al camino e poi se ne vanno per la loro strada. E ora che fare,  mantenere quel fuoco interno attendere pazientemente eppur con tanta impazienza, attendere il momento in cui qualcuno vorrà sedersi davanti e magari fermarsi? Chiunque crede in Dio attende che venga la sua ora un momento  o l’altro”.

Ciò che Vincent ha atteso e intensamente desiderato all’inizio del memorabile decennio creativo è accaduto a milioni di persone, e anche noi abbiamo avuto la fortuna di  fermarci, di sederci di fronte a tutto quel calore a tutto quel colore. Di lasciarci ammaliare e ferire.